Rumori da tacchi nella notte e disturbi d’ansia: cosa si può fare davvero dal punto di vista legale
Ogni notte, sempre alla stessa ora, un rumore secco e regolare interrompe il sonno. Un passo dopo l’altro, come un metronomo sulla testa. È quel suono inconfondibile di tacchi alti che battono sul pavimento, e che per chi soffre d’ansia può diventare insopportabile. Succede spesso nei condomìni, e non è solo una questione di fastidio: in alcuni casi, come ha stabilito un recente tribunale toscano, può configurarsi un danno alla salute. La giurisprudenza sta evolvendo, ma per ottenere un riconoscimento concreto è necessario seguire passaggi precisi.
Quando il rumore diventa illecito: cosa dice la legge
Per stabilire se un rumore sia davvero illegittimo, bisogna dimostrare che supera la soglia della normale tollerabilità, come previsto dall’articolo 844 del Codice civile. Questa soglia, che varia a seconda del contesto, è solitamente fissata in 40 decibel di notte e 50 di giorno. Se il rumore percepito supera questi valori di almeno 3 dB, può essere considerato molesto e oggetto di sanzione.
La misurazione deve avvenire tramite consulenza tecnica, con rilevazioni fonometriche certificate. Senza una perizia, difficilmente si può accedere a una causa o a una richiesta risarcitoria. Va poi dimostrata la ripetizione del disturbo nel tempo e la sua incidenza sulla vita privata. In un caso recente, è stata riconosciuta una somma di 10.000 euro a una donna per il disturbo continuo provocato dal rumore dei passi sul pavimento in gres del piano superiore.

Altri strumenti legali si trovano nel regolamento condominiale, se questo prevede limiti o divieti espliciti per calzature rumorose, soprattutto in determinate fasce orarie. Ma anche qui serve documentare e notificare formalmente le violazioni.
Il disturbo può sfociare in reato: quando scatta la tutela penale
La giurisprudenza penale ha affrontato più volte il tema dei rumori molesti, collegandolo al reato di disturbo della quiete pubblica, disciplinato dall’articolo 659 del Codice penale. Questo si configura quando il rumore arreca un pregiudizio collettivo, cioè è percepito da più persone. Non basta quindi la lamentela del singolo per far scattare la condanna: servono testimonianze di altri condomini e prove oggettive dell’estensione del disturbo.
Diversa, invece, è la situazione in cui i rumori siano mirati e costanti contro una singola persona, generando ansia, insonnia o isolamento. In questi casi si può parlare di stalking, come confermato da una recente sentenza che ha condannato una vicina per molestie reiterate, proprio per rumori e atti intimidatori rivolti a chi abitava sotto. La Cassazione ha ribadito che quando il comportamento altera le abitudini di vita e incide sulla sfera emotiva, può configurarsi una condotta persecutoria anche in ambito domestico.
Questa interpretazione offre una via legale alternativa per chi vive una situazione simile, ma si scontra con la difficoltà di raccogliere prove, specie se si è soli nel denunciarla. Servono referti medici, denunce formali e una documentazione che dimostri la ripetitività e l’intenzionalità del disturbo.
Nel frattempo, il problema rimane per molti irrisolto. Ma i precedenti giudiziari lasciano intendere che la quiete domestica, oggi più che in passato, sia un bene giuridicamente tutelato, e che anche un rumore all’apparenza banale, come il suono di un tacco alle tre di notte, possa essere considerato un attentato alla salute psicologica.