Pensavi di saper riconoscere una bugia? La scienza dimostra che è solo un’illusione

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Bugie, segnali e sguardi: perché non funzionano (e possono rovinare vite - www.pdspsicologidellosport.it

Lorenzo Fogli

Agosto 11, 2025

La capacità di capire se qualcuno mente è stata sopravvalutata: uno studio dimostra che i segnali non verbali non funzionano e che la ricerca scientifica sul tema è piena di distorsioni.

Ci piace credere di riuscire a capire quando qualcuno mente. Un’esitazione, uno sguardo che sfugge, una mano agitata: segnali che associamo da sempre alla menzogna. Ma la scienza dice che non funzionano. Né per i cittadini comuni, né per poliziotti addestrati, né per investigatori esperti. Uno studio pubblicato su Perspectives on Psychological Science dallo psicologo Timothy J. Luke smonta decenni di ricerca, rivelando che i metodi per smascherare le bugie non solo non sono affidabili, ma spesso si basano su dati gonfiati o metodologie discutibili.

Capire se qualcuno mente? È come lanciare una moneta

L’idea che esistano segnali universali della menzogna è radicata nella cultura popolare e nelle aule di formazione. Evita lo sguardo, si muove troppo, usa poche parole… sono solo alcuni dei comportamenti ancora oggi considerati “campanelli d’allarme”. Ma in realtà, come dimostrato da una serie di studi raccolti nel 2021, queste manifestazioni indicano ansia, non falsità. E l’ansia, specie sotto pressione, può colpire anche chi dice la verità.

Lo studio mostra che, anche dopo un addestramento, l’accuratezza nel riconoscere una bugia si ferma al 54%. Appena sopra il caso. Come tirare una monetina. Eppure, ancora oggi molti corsi per le forze dell’ordine insegnano che è possibile “leggere” il corpo. Gli effetti possono essere gravi, specie in ambito giudiziario, dove confessioni false o errori di valutazione hanno portato a condanne ingiuste.

L’analisi di Luke è impietosa:

  • il 41% dei dati analizzati è inutilizzabile perché mal riportato o incompleto

  • molti risultati positivi sono falsi positivi, frutto del caso o di bias di pubblicazione

  • i campioni usati negli studi sono spesso troppo piccoli per trarre conclusioni solide

  • le meta-analisi che raccolgono questi dati rischiano di amplificare l’errore

Insomma, siamo di fronte a una montagna di risultati sbagliati, che hanno alimentato l’illusione di poter “vedere” la bugia. Luke parla di ricercatori come Pinocchio nel Paese dei Balocchi, sedotti dall’idea di scorciatoie scientifiche, con un costo altissimo in termini di verità e giustizia.

La nuova via: meno gesti, più mente (ma non è infallibile)

Davanti a questo scenario, la scienza sta cambiando strada. Si punta su metodi che analizzano come si mente, non come ci si comporta. Il più studiato è il Cognitive Credibility Assessment (CCA): un insieme di tecniche per aumentare lo sforzo mentale del bugiardo. Funziona così:

  • Domande impreviste: chi ha preparato una storia falsa fatica a gestire dettagli improvvisi

  • Richiesta di raccontare i fatti al contrario: l’ordine cronologico aiuta la memoria vera, ma ostacola chi inventa

  • Richiesta di più dettagli: chi ha vissuto davvero un evento ha più materiale, chi mente rischia vuoti o contraddizioni

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Bugie, segnali e sguardi: perché non funzionano (e possono rovinare vite – www.pdspsicologidellosport.it

Anche questo approccio, però, non è una formula magica. Migliora l’affidabilità rispetto ai segnali comportamentali, ma resta lontano dal garantire certezze. Soprattutto in contesti delicati, come interrogatori o processi, basarsi su questi strumenti senza un quadro probatorio solido può portare fuori strada.

Per correggere rotta, la comunità scientifica chiede ora regole più rigide: preregistrazione degli studi, uso di campioni ampi, trasparenza nella gestione dei dati, e revisione delle vecchie meta-analisi. Solo così sarà possibile distinguere ciò che funziona davvero da ciò che suona bene ma non regge alla verifica.

Fino ad allora, credere di saper riconoscere una bugia a colpo d’occhio è più pericoloso che utile. Il rischio è quello di sbagliare. E quando in gioco c’è la libertà o la reputazione di una persona, non ce lo possiamo permettere.

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