Non vietare, ma educare: come l’AI può diventare alleata della scuola

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L'intelligenza artificiale a scuola: un alleato, se ben usato, per formare le menti future-pdspsicologidellosport.it

Lorenzo Fogli

Agosto 13, 2025

Dalla scrittura di codici etici alle simulazioni etiche, cinque pratiche sperimentate in Italia e all’estero mostrano come integrare l’AI nell’educazione alla cittadinanza digitale.

L’intelligenza artificiale è entrata nelle classi. Gli studenti la usano per redigere temi, tradurre, riassumere testi o creare presentazioni complete. Ignorarla o vietarla non ferma il fenomeno: lo spinge semplicemente nell’ombra, senza regole né orientamento. Alla conferenza internazionale AIED 2025 di Palermo, ricercatori e docenti hanno ribadito che la scuola deve insegnare non solo con l’AI, ma anche l’AI: comprenderne funzionamento, limiti, utilità e rischi. Questo rientra in un obiettivo più ampio, l’educazione alla cittadinanza digitale, che mira a fornire agli studenti strumenti per muoversi in un mondo in cui algoritmi e macchine influenzano decisioni, opinioni e contenuti.

Dalla teoria alla pratica: come formare cittadini digitali consapevoli

Esperienze già attuate in Canada, Regno Unito e Italia mostrano come sia possibile trasformare l’AI in una leva educativa. La creazione di un codice etico dell’AI scritto dagli studenti è un primo passo: organizzati in gruppi, analizzano temi come privacy, copyright, disinformazione e impatto ambientale, producendo un manifesto condiviso. Questo approccio non impone regole dall’alto, ma stimola responsabilità e coinvolgimento.

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Come e quando la tecnologia sarà presente nelle nostre scuole-pdspsicologidellosport.it

Il fact-checking digitale rappresenta un altro strumento chiave. Partendo da una risposta dell’AI su temi di attualità, gli studenti verificano la correttezza delle informazioni, consultando fonti ufficiali e documentando ogni passaggio. È un esercizio di pensiero critico che insegna a non accettare passivamente ciò che un algoritmo propone. In alcune scuole, questa pratica è stata integrata nei corsi di giornalismo scolastico, collegando la verifica dei fatti a competenze di scrittura e comunicazione.

Simulazioni etiche con chatbot addestrati su testi giuridici e filosofici, come quelli basati su Kant o Arendt, portano il dibattito in classe su dilemmi morali complessi. Qui l’AI diventa un “specchio morale” che fornisce prospettive diverse, stimolando confronto e argomentazione. In certi casi, i docenti hanno abbinato queste discussioni a lavori di gruppo in cui gli studenti devono elaborare un parere scritto, allenando anche capacità argomentative e di sintesi.

Trasparenza e responsabilità: oltre il mito della macchina infallibile

Per smontare l’idea dell’AI come “scatola nera” perfetta, alcune scuole propongono laboratori di AI trasparente. Attraverso strumenti come Teachable Machine o Google AI Experiments, gli studenti osservano come l’algoritmo apprende e prende decisioni. Questo aiuta a capire che dietro ogni sistema ci sono dati, scelte umane e potenziali bias. Nei laboratori più avanzati, si lavora anche sulla creazione di dataset personalizzati per mostrare come la qualità e la varietà delle informazioni influiscano sul risultato.

Un’altra misura concreta è l’inclusione dell’uso consapevole dell’AI nel voto di condotta. Stabilendo insieme criteri chiari – penalità per l’uso improprio, riconoscimento per l’impiego corretto – si lega la tecnologia alla responsabilità personale. Questo approccio elimina il divieto generico e lo sostituisce con una regolamentazione condivisa. Alcuni istituti hanno persino inserito un modulo di “AI literacy” nei programmi di educazione civica, così che ogni studente riceva una formazione di base prima di utilizzare strumenti generativi.

L’adozione dell’AI in classe non è una questione di moda tecnologica, ma un passaggio inevitabile nel percorso educativo. Le pratiche emerse a Palermo dimostrano che è possibile trasformare l’AI da strumento passivo a risorsa attiva per sviluppare coscienza critica e cittadinanza digitale. Non si tratta di lasciare che siano gli algoritmi a plasmare le nuove generazioni, ma di fornire agli studenti la capacità di comprenderli, guidarli e persino correggerli. In un’epoca in cui le decisioni automatizzate incidono su ogni aspetto della vita, questa è forse la lezione più urgente che la scuola possa offrire.

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