Burnout, il nemico silenzioso: il giorno in cui il lavoro ha smesso di avere senso

Il bornout dilaga sempre più. Non è solo stress da lavoro ma un serio problema che deve essere preso sul serio-pdspsicologidellosport.it

Lorenzo Fogli

Agosto 15, 2025

Stress, esaurimento e cinismo sul lavoro: il burnout è una sindrome seria e sempre più diffusa.

Ogni giorno migliaia di lavoratori convivono con una stanchezza che non passa neanche nei weekend, una perdita di motivazione che svuota, un senso crescente di distanza emotiva dal proprio mestiere. Spesso si pensa sia solo stress. In realtà potrebbe trattarsi di burnout, una sindrome riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come conseguenza diretta dello stress cronico non gestito in ambito lavorativo. Non è una malattia, ma un fenomeno occupazionale che può trasformarsi in qualcosa di molto più grave, se ignorato.

Dietro la parola “burnout” — letteralmente “bruciato” — si nasconde una condizione psicofisica di logoramento. Non è improvvisa, ma progressiva. E può colpire chiunque: medici, insegnanti, impiegati, liberi professionisti, manager. Inizialmente legato alle professioni d’aiuto, oggi è riconosciuto in ogni settore.

Sintomi, segnali e complicanze della sindrome da burnout

Il burnout non esplode in un giorno. Si insinua piano, spesso confondendosi con la fatica ordinaria. I primi segnali vengono banalizzati: insonnia, emicranie, stanchezza che persiste anche dopo il riposo. Ma col tempo si fa più chiaro. I sintomi si articolano su tre fronti principali: fisico, emotivo e comportamentale.

Il primo è l’esaurimento emotivo, la sensazione di essere svuotati, incapaci di provare energia o coinvolgimento. Poi arriva il distacco mentale dal lavoro, un atteggiamento cinico e negativo verso colleghi, clienti, mansioni. Infine, la ridotta efficacia professionale: si lavora peggio, con meno lucidità, più errori, più difficoltà di concentrazione. Il risultato è un calo dell’autostima e un senso di fallimento personale.

Stree
La sindrome da burnout colpisce molti lavoratori. Come riconoscerla e cosa fare-pdspsicologidellosport.it

I sintomi fisici includono insonnia, tachicardia, dolori muscolari, problemi gastrointestinali, vertigini, tensioni. Sul piano emotivo emergono irritabilità, apatia, tristezza, fino ad ansia o crisi di pianto. In molti casi, il lavoratore non recupera neppure nei momenti di pausa. Nemmeno le ferie servono a ricaricare.

Se non trattata, questa condizione può degenerare: depressione, dipendenze, isolamento, atti autolesionistici sono complicanze documentate. Non si tratta di stanchezza normale. È un vero e proprio crollo delle risorse psichiche. Il soggetto “scoppia”, non riesce più a tenere in piedi la struttura mentale con cui fronteggiava le giornate.

La diagnosi è clinica: va effettuata da un medico competente (spesso psicologo, psichiatra o medico del lavoro), tramite colloqui e analisi del comportamento e dei sintomi. L’OMS ha introdotto criteri ufficiali per aiutare gli specialisti a distinguere chiaramente il burnout da altre patologie, come i disturbi dell’umore, da ansia o post-traumatici, che a volte si sovrappongono.

Le cause del burnout: chi è più a rischio e perché succede

Non esiste un’unica causa. Il burnout è il risultato di un insieme di fattori che vanno dalle caratteristiche personali al contesto organizzativo. Ci sono elementi individuali, come l’età, il genere, la personalità, lo stile di vita, ma anche le condizioni di lavoro sono determinanti.

Secondo numerosi studi, le donne sembrano essere più colpite degli uomini. I giovani con aspettative elevate verso il lavoro risultano spesso i più delusi e vulnerabili. Anche lo stato civile incide: chi non ha un partner stabile appare più esposto.

Tra i tratti di personalità a rischio ci sono: perfezionismo, tendenza a porsi obiettivi irrealistici, iperidentificazione con il lavoro, difficoltà a lavorare in team o a delegare. Chi considera il lavoro come l’unico centro della propria identità personale è particolarmente vulnerabile.

Dal lato dell’organizzazione, i principali fattori di rischio sono:

  • Sovraccarico di compiti, scadenze irrealistiche, turni prolungati;

  • Mancanza di autonomia, scarsa partecipazione alle decisioni;

  • Assenza di riconoscimento, economico o sociale;

  • Valori in conflitto tra dipendente e azienda;

  • Scarso supporto dai colleghi o dai superiori;

  • Ambienti lavorativi ostili, con mobbing, comunicazione scarsa e bassa sicurezza psicologica.

Le professioni più colpite sono quelle assistenziali e ad alta esposizione relazionale: medici, infermieri, insegnanti, poliziotti, operatori sociali. Ma sempre più casi emergono anche tra lavoratori d’ufficio, impiegati in ruoli ad alta responsabilità o soggetti a controlli e valutazioni costanti.

Affrontare il burnout significa agire su più fronti: a livello individuale con psicoterapia cognitivo-comportamentale, che aiuta a identificare le fonti di stress e a modificare i pensieri disfunzionali; a livello organizzativo, migliorando i carichi di lavoro, l’autonomia decisionale, il clima relazionale. Serve anche una maggiore prevenzione, fatta di pause vere, ritmi umani, spazi di ascolto.

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