Eviti le situazioni difficili per paura di non farcela? Così stai rafforzando proprio ciò che temi.
A tutti è capitato almeno una volta di dire no a un’opportunità per paura di fallire, per timore di provare ansia o di sentirsi incapaci. Magari era un incarico di lavoro, un viaggio importante, una relazione da affrontare. Eppure, qualcosa dentro ha bloccato ogni tentativo. Il pensiero ricorrente era uno solo: “Non ce la faccio”. Quella frase, così semplice, può trasformarsi in una gabbia mentale, invisibile ma potentissima.
Nel tempo, la paura smette di essere un semplice campanello d’allarme e diventa una presenza costante, un’ombra che ostacola ogni passo in avanti. Per capire come spezzare questo meccanismo, bisogna partire da ciò che spesso accade senza nemmeno rendersene conto: l’evitamento. È lì che l’ansia attecchisce e cresce.
L’errore più grave: evitare per sentirsi al sicuro
L’evitamento è la strategia più usata – e più controproducente – per difendersi dalla paura. Quando si rinuncia a una situazione difficile, l’ansia si riduce nell’immediato, ma in realtà si rinforza il messaggio che quella situazione è pericolosa e noi non siamo in grado di affrontarla. Anche se non lo si dice ad alta voce, il cervello lo registra.
Questa dinamica, apparentemente protettiva, si trasforma presto in un circolo vizioso: più evitiamo, più ci sentiamo incapaci. Più ci sentiamo incapaci, più evitiamo. E ogni rinuncia alimenta l’idea che il mondo esterno sia pieno di pericoli e noi privi di risorse.

Il corpo si adatta a questa percezione. Le situazioni evitate in passato iniziano a generare segnali d’allarme anche solo al pensiero. Così si arriva al punto in cui la paura cresce da sola, senza un vero pericolo, ma solo perché si è costruita una narrazione interna che ci dice di non farcela.
Evitare è una soluzione comoda nel breve, ma dannosa nel lungo periodo. È come dire al proprio inconscio: “Non sono capace. Meglio scappare.” Una convinzione che può diventare invalidante e, nei casi più estremi, portare al panico.
Coraggio non è assenza di paura, è addestrarsi a conviverci
La paura non va eliminata. Serve. È uno strumento evolutivo che ci tiene in allerta. Ma quando oltrepassa una soglia fisiologica, si trasforma in ostacolo. Ed è proprio lì che entra in gioco il coraggio.
Essere coraggiosi non significa non avere paura. Significa attraversarla. Chi non prova paura non è coraggioso, è incosciente. Solo chi la conosce e decide di restare in piedi è davvero forte.
Come? Esistono strategie semplici, concrete, che si possono adottare da subito:
Dare un nome alla paura. Riconoscerla. Anche scriverla. Dirsi: “Ho paura di…”. È il primo passo per non subirla in silenzio.
Affrontare le sensazioni. Quando si sente l’ansia salire, non fuggire. Restare. Osservarla. Lasciarla passare. È scomodo, ma è l’unico modo per scoprire che non uccide.
Smettere di evitare. Anche solo una volta al giorno. Fare qualcosa che si era evitato. Piccolo, gestibile, ma simbolico. Serve a invertire la tendenza.
Allenarsi a sbagliare. Qui arriva un esercizio concreto: sbaglia volontariamente qualcosa di semplice. Un messaggio con un refuso, una domanda ingenua fatta apposta. E osservare che il mondo non crolla. Che si può anche sorridere dell’errore.
Più si pratica, più il cervello impara una nuova lezione: “Se provo, forse ce la faccio. E se sbaglio, posso correggere.” È così che la paura si ridimensiona. Non scompare, ma perde il suo potere paralizzante.