La psicologia di Winnicott ci insegna che dietro un’apparente sicurezza può nascondersi un’identità costruita per difesa. Scopri i segnali più affidabili del falso sé e come questo condiziona le relazioni.
Hai mai parlato con qualcuno che suona come un copione più che come una persona? Non è paranoia. È probabile che tu abbia incrociato un falso sé: una maschera persistente che nasconde chi c’è veramente sotto. Donald Winnicott la definì così: una difesa costruita fin dall’infanzia, spesso senza che neanche la persona stessa ne fosse consapevole.
I segnali più affidabili del falso sé e come emergono nel 2025
Nel mondo reale di oggi, adattarsi alle situazioni è normale. Ma quando quella maschera diventa l’unica faccia visibile, siamo di fronte al falso sé. Un chiaro segnale è l’incoerenza cronica tra parole e atti: chi parla di valori elevati ma li ignora, o proclama empatia ma rimane solo nella teoria, mostra un disallineamento netto tra narrazione e realtà.
Un altro segno è il comportamento che cambia drasticamente a seconda dell’interlocutore. Non si tratta di diplomazia, ma di mutare identità per essere accettati. È il trucchetto del “camaleonte umano”: oggi d’accordo con te, domani con un altro, senza alcun senso di continuità.

Poi c’è la sete insaziabile di approvazione. Chi vive dietro la maschera cerca costantemente consensi, attraverso drammi inventati, lodi esagerate o autoesaltazione. Non è apparenza casuale ma strategia per ottenere riconoscimento esterno e tamponare un vuoto interiore.
Il cinismo e sarcasmo diventano armature difensive. Meglio sminuire tutto e mantenere distanza, piuttosto che rischiare autenticità. È un modo sottile di proteggersi dalla vulnerabilità. Spesso, c’è un codice morale alto da pubblico e un altrettanto diverso da privato, una doppia morale che svela il contrasto tra persona e maschera.
Un elemento recente conferma come questi pattern si siano evoluti nel mondo digitalizzato: la presentazione del sé online – con profili costruiti e like strategici – amplifica la paura di giudizio e la ricerca di validazione. Nuove ricerche mostrano che la costruzione del falso sé nei social aumenta la paura del rifiuto e incoraggia comportamenti compulsivi di autopromozione.
Dietro la facciata: origini, costi relazionali e possibilità di liberarsi
Il falso sé non nasce per cattiveria, ma spesso come strategia di sopravvivenza. Winnicott insiste sull’importanza di un ambiente “sufficientemente buono”: un caregiving presente ma imperfetto permette alla vera identità di emergere. Se manca, il bambino costruisce un sé conforme per proteggersi e sopravvivere.
Quel sé di facciata, all’inizio difensivo, può diventare una prigione dorata. Mantenere la maschera è più sicuro che esporsi al rischio del rifiuto. Ma con il tempo le relazioni diventano superficiali, l’isolamento emotivo prende il sopravvento.
Riprendere l’autenticità parte dal riconoscere la maschera – non come condanna, ma come comprensione di sé. Psicoterapia, relazioni autentiche e piccoli passi di vulnerabilità – come esprimere un’opinione vera, ammettere una difficoltà – possono iniziare a sciogliere la corazza.
Arrivare a un equilibrio – dove la maschera diventa accessoria, non sostitutiva – significa costruire relazioni che contano davvero, dove l’autenticità ripaga più della performance. In un’epoca dominata dalla perfezione mediata, una vita meno mascherata può essere la rivoluzione che tutti stiamo aspettando.